Recensione: Giro di vite di Henry James

Titolo: Giro di vite
Titolo originale: The turn of the screw
Autore: Henry James
Edizione: Mondadori
Prezzo:   € 6,75
Trama: E' il racconto di due bambini affidati alla servitù di una vecchia villa di campagna dove avvengono sconcertanti apparizioni. La genesi di questo romanzo breve è da attribuirsi a una storia di fantasmi narrata allo scrittore dall'arcivescovo di Canterbury Edward White Benson, ad Addington, la notte del 10 gennaio 1895. Del 'germe' originale del racconto rimane l'atmosfera di un Male incombente e immanente, resa ancor più intollerabile dall'ambientazione quasi pastorale e dal senso di pace e luminosità che questa sembra irradiare tutt'attorno. Grazie a questo contrasto, il terrore di James è un terrore psicologico; nasce dalla mente del narratore più che dalla descrizione dei fatti: sottile e modernissimo espediente che anticipa la sperimentazione letteraria del Novecento.


Avevo vagamente idea di cosa aspettarmi da questo libro prendendolo come romanzo gotico (anche se non sono sicura che rientri in questo genere), ma, come sempre, questo tipo di libri contiene molto più che non una storia di paura.
Inizia con una tecnica consolidata: qualcuno estraneo alla vicenda racconta una storia che ha sentito/letto/trovato. Nel caso specifico, alla vigilia di Natale, in una casa si raccontano storie di paura sui fantasmi e il signor Daniels promette di leggere la storia più terrificante che conosca, scritta da un'istitutrice e affidatagli da lei stessa.
Questo è il presupposto e 'la scusa' per dare il via alla storia. Da questo momento la voce narrante (e protagonista) diviene la giovane istitutrice, di cui non viene svelato mai il nome. Elemento forse voluto, dato che tutto il libro è giocato sul detto - non detto.
L'intera vicenda lascia il lettore perplesso perché l'istitutrice racconta, con nitidezza di particolari, tutto dal proprio punto di vista. Questo porta a pensare che abbia assolutamente ragione. Da un esame più oggettivo viene, però, da chiedersi: ma siamo sicuri? Lei continua a spiegare tutto con verbi tipo: capivo, vedevo, mi accorgevo; in realtà il comportamento dei bambini appare ambiguo perché mediato, appunto, dalle sue parole, se analizzato oggettivamente, non sembra niente di diverso che normale esuberanza o vivacità data dall'età, comunque non guidato da malefici o cattive influenze. Sono bambini che si atteggiano a buoni, che ogni tanto combinano qualche marachella. Come quasi tutti i bambini del mondo.
Quindi torna la domanda del dove sia la verità: è l'istitutrice che esagera e vede cose dove non ce ne sono, o ha ragione e i bambini sono sotto l'influsso malefico dei fantasmi?
L'ultima pagina sembra chiarire un po' di più, ma in realtà, si è portati a credere ciò che si è creduto nel resto del libro, perché anche in questo caso non c'è nessun cenno di questa fantomatica influenza.

Personaggi: Devo dire che il libro è piuttosto egocentrico. Può essere paragonato ad un diario e questo può giustificare in parte la totale mancanza di punti di vista diversi, neanche per immedesimazione. L'istitutrice pensa, decide una sua interpretazione e ciò che ha deciso è, senza che le venga mai nessun dubbio. Decide che i due bambini sono sotto l'influsso dei fantasmi e così è. In realtà, ciò che porta ad esempio non sono niente più che le classiche sfide che bambini e pre adolescenti lanciano di continuo agli adulti.
Su di loro più di questo non viene detto.
Più o meno lo stesso accade per i fantasmi. Sono 'nefandi, 'malefici', 'creature dell'inferno' così come lo sono stati in vita, ma cosa abbiano fatto è lasciato totalmente al lettore. Frasi in sospeso e parole velate possono far intuire, ma l'immaginazione dipende molto da chi legge. Cosa abbiano fatto e se davvero abbiano fatto qualcosa, non viene mai detto chiaramente.
Gli ultimi due personaggi della storia sono la signora Grose e lo zio.
La donna è del tipo semplice, un po' malleabile. crede all'istitutrice, poi dubita, poi crede di nuovo. E' più utilizzata come ascoltatrice che come personaggio attivo.
Lo zio non compare mai, soprattutto per sua volontà. E' tassativo, infatti, che l'istitutrice debba risolvere tutto da sola, senza disturbarlo mai, per nessun motivo. Un comportamento un po' misterioso e che travalica il comune menefreghismo. Anche qui: lo zio lo è davvero o conosce una verità scomoda che preferisce ignorare in toto?

Stile: Elegante e pacato come tutti i romanzi di quell'epoca. I fatti non sono mai troppo chiari e ricchi di particolari, ma le emozioni sono sempre estreme e violente. L'abbondanza di aggettivi positivi e negativi è rispettata e anche le descrizioni occupano il giusto spazio.

Giudizio finale complessivo: Da un lato mi è piaciuto, dall'altro ammetto che è stato un pelo sotto altri classici che mi sono capitati. Non saprei dire esattamente cosa mi fa storcere un po' il naso se non la poca chiarezza in tante vicende. Per fare qualche esempio: avrei preferito che il comportamento dello zio venisse spiegato un po' di più; l'unica che fa venire dei dubbi sull'istitutrice è la signora Grose quando ammette di non aver visto nessun fantasma, se doveva essere un gioco di 'è bianco o è nero?' avrei preferito che ci fossero più voci a mettere in dubbio la veridicità di ciò che afferma la ragazza. I fantasmi non parlano mai nel libro e non spiegano quindi le loro motivazioni. Piccoli particolari che, tutti assieme, hanno tolto un po' di gusto per la lettura. Diciamo che, pur rispettando il gioco dei dubbi, avrei preferito un po' più di chiarezza, invece è tutto vago e poco approfondito.
Nel voto tengo conto anche dell'epoca in cui è stato scritto e dello stile che vigeva, ma lo ammetto, fosse stato un romanzo moderno scritto ai nostri giorni, lo avrei stroncato.
Voto: 7/10



Commenti

  1. L'ho letto molto tempo fa, e mi è piaciuto molto. Ricordo di aver apprezzato tutta l'ambiguità della situazione, ma che alla fine mi sarebbe piaciuto avere qualche chiarimento oggettiv sulla vicenda :)

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