Recensione: Parla con i morti di Harry Bingham

Prima recensione dell'anno!!! Considerando quanto poco sono riuscita a leggere in vacanza è già un mezzo miracolo.

Titolo: Parla con i morti
Titolo originale: Talking to the dead
Autore: Harry Bingham
Edizione: Giunti
Prezzo: 6,90€
Trama: Duplice omicidio: una giovane donna e la figlia di sei anni vengono trovate uccise in un appartamento dei quartieri malfamati di Cardiff, Galles. La casa è in condizioni terribili, eppure in un angolo viene trovata la carta di credito di un miliardario scomparso sei mesi prima in un misterioso incidente aereo. Del caso si occupa anche l’agente investigativo Fiona Griffiths, coraggiosa, intuitiva e con una laurea in filosofia, che è stata assunta in polizia da pochissimo tempo. Fiona è sicura che la morte di madre e figlia sia solo parte di una vicenda ben più complessa e si getta a capofitto nelle indagini: quella che scopre è una realtà terrificante; troppo, per non lasciarsi coinvolgere. Perché Fiona non è un’agente comune. C’è un buco nero nel suo passato, due anni di cui nessuno sa nulla, forse nemmeno lei. Due anni che però hanno qualcosa a che vedere con ciò che le sta accadendo ora e che non può confidare a nessuno.
Perché è così a suo agio in presenza di un cadavere? Perché il contatto con i morti le infonde tanta quiete?
Con una delle protagoniste più affascinanti nel panorama del thriller internazionale, Parla con i morti è il primo capitolo di una trilogia che vi farà perdere il sonno.

Voto: 6/10
Sono incappata in una trilogia thriller anziché i classici fantasy, distopici e simili. Non è la prima ma non sono neanche così comuni.
Inoltre, almeno questa, ha una bellissima, profonda, differenza, rispetto a tante altre: si può leggere benissimo da sola.
Ha una trama completa, finita e risolutiva che non lascia molti dubbi e fili in sospeso.
Certo qualcuno c'è, ma forse li ho notati perché sapevo che era una trilogia.
Al di là di questo piacevole particolare, il libro non mi ha colpito.
La trama è carina, niente di eclatante, un po' intuibile, ma piacevole per gli appassionati del genere.
Mi ha coinvolta abbastanza da farmi arrivare in fondo al libro facilmente , ma non così tanto da non riuscire a staccarmi.
Ho colto i momenti di enfasi senza riuscire, tuttavia, a sentirli e questo mi è spiaciuto. Non solo, forse nel tentativo di colpire il lettore, l'autore aggiunge particolari macabri e d'effetto, di cui avrei fatto volentieri a meno. E secondo me ha anche esagerato con la testa della bambina fracassata da un lavello. Ora, viene uccisa in un salotto in preda alla follia, e in quei casi quel che c'è, c'è, ma, prima di tutto, una bimba di sei anni la si uccide quasi con un manrovescio, poi, anche se in preda alla follia, chi la fa la fatica di tirar su un lavello? Per finire, capisco sia una casa disastrata piena di sporcizia, ma in salotto proprio un lavello? Sa tanto di scelta studiata.
Anche il finale non mi ha esaltata, un po' troppo 'faccio tutto io, sono brava solo io' con punte poco credibili.
L'argomento, invece, non mi è spiaciuto: traffiking e uomini che picchiano le prostitute. Non è bello, non è divertente, ma ho apprezzato che qualcuno ne parlasse, pur se in un romanzo di finzione.
Anche l'ambientazione non è stata male: Cardiff. Un po' diverse dalla solita Londra o altre città del crimine più gettonate. Certo non ci sono mai stata e non ho idea dell'accuratezza delle descrizioni, ma trovo con poco senso inventarsi vie e quartieri. Penso sia più comodo e realistico descrivere ciò che esiste.
Anche la scelta dei personaggi è un po' diversa, in quanto abbiamo una protagonista femminile, non è unica, ma neanche in buona compagnia come i colleghi maschietti. Purtroppo non si salva dall'essere una psicotica asociale (è il male della professione investigativa letteraria: se non sei un pazzo sclerotico, non sei un buon detective), anche se l'autore le ha 'generosamente' dato una valida ragione per esserlo: è malata. Ha una vera e propria sindrome che la fa essere così. Bingham stesso, a fine libro, dice che era proprio il suo intento avere una protagonista 'malata' per poter descrivere come si sente una persona affetta da questa sindrome e per essere vicino a chi ne soffre e ai loro familiari. Non ho idea di quanto sia riuscito nell'intento, perché io non la conoscevo, ma Fiona strana lo è tanto.
Un po' banale l'aspetto fisico: piccola, esile, fragile. Un cliché che inizia ad essere un po' abusato considerando l'esiguità delle signore in questi romanzi.
Per finire mi sono sembrati un po' fuori luogo alcuni atteggiamenti.
E' come se l'autore avesse voluto creare una donna che si mostra forte, ma è dolce e fragile, e poi si scopre essere davvero forte.
Gli è venuto un po' un pasticcio.
Altri personaggi degni di nota non ne ho trovati. Sono un po' tutti troppo costruiti per esaltare la bravura della protagonista.
Lavora per un po' con la detective esperta Jane, ma lei sembra l'unica ad avere le idee buone per fare gli interrogatori. Penry il sospettato finisce per darle una mano. Il suo istruttore di Krav maga (disciplina che ho trovato molto interessante) che trova subito come aiutarla. Impara a sparare in una notte, grazie a indizi strani e poche direttive, per merito del padre gestore di night club...
Brydon almeno avrebbe meritato un po' più di spessore, invece rimane sempre sullo sfondo, anonimo (ogni tanto dimenticavo chi era), quando non serve, o c'è il rischio che intervenga per aiutare la protagonista, viene spedito a Londra in modo che lei possa fare l'eroina solitaria.
Un po' troppo spinta come protagonista, tanto da lasciare tutti gli altri troppo in ombra, mere comparse che hanno a stento un nome e si distinguono appena.
Lo stile dell'autore non sarebbe stato male, ma usa il tempo presente che francamente detesto e che mi da tanto sensazione di linguaggio povero, un'incapacità di gestire i tempi verbali passati.
Tolto questo il testo è scorrevole, il libro si fa leggere e non ci sono descrizioni troppo ampollose.
Il punto di vista soggettivo lascia ampio spazio alle emozioni e alle sensazioni della protagonista, ma taglia fuori tutti gli altri (come se già non ci avesse pensato l'autore da solo).
Il tentativo di fare un personaggio affetto da sindrome forse non è riuscito del tutto a causa di certe tempistiche, ma non entro nel merito della sindrome stessa. Se posso dare un consiglio, indagherei un pochino di più l'animo femminile.




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